Questa espressione mi è stata applicata dalla prima elementare o forse anche in asilo. Era l’incubo di mia madre, che se lo sentiva ripetere ad ogni colloquio scolastico “Signora si vede che Sheila è intelligente” e poi, immancabilmente l’avversativo che, come un colpo di spugna, cancellava quanto appena detto “MA non si applica, non si impegna, non studia”.
Alle medie questo mantra raggiunge una connotazione, il potere di guidare la mia storia nella scelta della scuola superiore in una direzione rispetto ad un’altra. I professori, a quella povera mamma lavoratrice che si scapicollava per andare a parlare con gli insegnanti, dissero che era meglio, visto il mio scarso impegno nello studio, che sarebbe stato meglio se mi fossi iscritta ad una scuola professionale, così dopo il biennio avrei potuto decidere se continuare a studiare oppure andare a lavorare, piuttosto che iscrivermi ad un liceo a ciclo quinquennale.
Chissà quante persone si sono sentite dire parole simili e, di conseguenza, si sono sentite incasellate in situazioni simili?
Chissà quanti genitori, oggi, se lo sentono dire in merito ai figli?
Qual’è lo scopo che queste parole supportano?
Aiutare lo studente ed i suoi genitori nell’identificazione delle aree di difficoltà o problematiche che richiedono maggiore attenzione ed impegno così da raggiungere la sufficienza, a scuola e la norma o la media nel mondo del lavoro se non addirittura nella vita.
Ecco che dove l’intenzione è sicuramente positiva e propositiva si corre il rischio altissimo di livellare, standardizzare le abilità, i talenti dei bambini perché manca il tempo per porre l’attenzione all’ascolto dei bisogni della persona.
Posso solo ringraziare mia madre che all’epoca chiese a me cosa mi sarebbe piaciuto fare e mi lasciò libera di scegliere e di prendermi la responsabilità della mia decisione di frequentare un’istituto ad indirizzo linguistico, non una scuola professionale. Non fu una storia a lieto fine, anzi. Fui bocciata in terza superiore e conclusi le superiori con il minimo dei voti (36 sessantesimi all’epoca) scatenando la rabbia di mio padre che continuava a sottolinearmi l’impossibilità di accesso a determinati concorsi pubblici senza pensare all’anno della mia vita che avevo sprecato nel rifare le stesse cose senza progredire.
Solo molto tempo dopo scoprii la reale implicazione de “ripetita iuvant” e anche “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”.
In ognuno di noi ci sono talenti innati, cose che ci riescono semplici e che ci piace fare e cose che non capiamo, che non ci portano soddisfazioni e che facciamo male.
La grande domanda è sappiamo qual’è il nostro motore?